Psichiatra e psicologo ricoprono due funzioni differenti, condividendo innegabilmente vari aspetti della professione. Sono entrambi esperti della salute mentale, figure professionali nate in maniera differente e che ancora oggi hanno strumenti differenti di lavoro, ma potremmo anche dire di una diversa missione nei confronti della salute mentale. In una minoranza di casi, alcuni professionisti riescono ad integrare le due scienze in un approccio multidisciplinare, dove la cura del disagio psichico viene personalizzata attingendo agli strumenti di entrambi i campi. Questo perché, a prescindere dalla figura di cui si parli, le competenze professionali possono intrecciarsi alla personale vocazione alla cura e superare le differenze tecniche.
Formazione
Una prima distinzione tra psicologo e psichiatra poggia sicuramente su due diversi percorsi di studi. Oltre alla durata della formazione universitaria e specialistica, è soprattutto la forma mentis del professionista a fare la differenza. Uno psicologo è un professionista abilitato all’esercizio dopo aver conseguito una laurea triennale nel settore, una laurea magistrale di specializzazione, 1000 ore di tirocinio post-laurea, avendo poi superato l’esame di stato della categoria e dopo essersi iscritto all’ordine professionale della regione a sua scelta. Uno psichiatra, ha conseguito una laurea di 6 anni in medicina ed una specializzazione post-laurea quinquennale in psichiatria.
Sostanzialmente, uno psichiatra è un medico. I primi anni della sua formazione sono dediti allo studio della biologia, dell’anatomia umana, della fisica, della fisiologia, della storia della medicina. Nel corso della formazione, queste conoscenze si specializzano attraverso lo studio delle patologie in tutta una serie di campi, come la cardiologia, la gastroenterologia, la medicina interna, la neurologia, la psichiatria, la chirurgia, etc. Nella specializzazione post-laurea, una di queste diviene il campo d’intervento preferenziale del medico: nel nostro caso, parliamo della psichiatria. Agli studi sugli effetti neurologici dei farmaci, delle lesioni organiche, delle patologie ereditarie, si accompagna la pratica clinica nelle strutture della salute mentale, pubbliche o private.
Se sostanzialmente uno psichiatra è un medico, uno psicologo è uno psicologo. Questa figura viene formata, fin dal primo momento, sul funzionamento della mente e del comportamento umano: dal punto di vista fisiologico (fisionomia del cervello, evoluzione, disturbi dovuti a lezioni cerebrali), cognitivo (capacità mentali come intelligenza, sensazioni, attenzione, linguaggio, emozioni, pensiero), dinamico (conflitti interiori, come ci relazioniamo con gli altri), dello sviluppo (dalla nascita all’anzianità). La scelta di una laurea specialistica restringe il campo ad una tra queste ed altre branche della psicologia. Nel mio caso, mi sono specializzata nella Psicopatologia dinamica dello sviluppo, intendendo formarmi per poter lavorare con i minori e le loro famiglie, nonché con le coppie (genitoriali e non). L’esperienza di tirocinio post-laurea, anche laddove sono state possibili esperienze formative curriculari, anticipa l’esercizio della professione attraverso un anno di intensa attività nei servizi pubblici e privati a scelta.
Entrambi possono conseguire una specializzazione in Psicoterapia, formandosi ulteriormente sulle tecniche utilizzate da diverse scuole di pensiero (o anche orientamenti) sulla cura del disagio psichico. Ciò amplia ancora di più le scelte a disposizione di chi cerca un professionista della salute mentale, perché esistono almeno decine di orientamenti diversi in cui specializzarsi. La definizione di psicoterapeuta indica nello specifico chi ha terminato un corso quadriennale di specializzazione in psicoterapia, ma sono entrati nell’uso comune termini come terapeuta o terapista, che non corrispondono necessariamente ad una specifica professione.
L’uso degli psicofarmaci
Un’altra distinzione, derivante proprio dalla differente istruzione, è quella sulla prescrizione di psicofarmaci e sulle diverse scuole di pensiero nei suoi confronti. E’ necessario premettere che per la legge italiana uno psichiatra è abilitato alla prescrizione dei farmaci, mentre uno psicologo no. Ciò non dipende dalla presenza o meno di esami di farmacologia nel proprio corso di studi (spesso è possibile aggiungerli tra gli esami a scelta), ma al fatto che la legge italiana lo consente solo ai medici.
Per questo motivo, quando uno psicologo vede la necessità di utilizzare una terapia farmacologica con il proprio paziente, deve rivolgersi ad un collega psichiatra con il quale lavorare congiuntamente, o fare un invio ad un servizio psichiatrico. Ciò premesso, ci sono settori dell’una e dell’altra professione che possono rappresentare i poli di uno spettro: da un lato, lo stereotipo dello psichiatra che utilizza come terapia solo ed esclusivamente la prescrizione di psicofarmaci, e dall’altro lato lo stereotipo dello psicologo assolutamente contrario all’uso di qualsiasi psicofarmaco (che a volte suona un po’ come la volpe che non arriva all’uva e ne dice che sia acerba).
La mia opinione professionale è che la terapia farmacologica sia utile e necessaria laddove la gravità del disturbo impedisca l’intervento psicologico. Capita che gravi sintomi possano impedire alla persona di essere aiutata, quindi ritengo importante che il dosaggio sia essenziale per poter lavorare sul miglioramento del disturbo dal punto di vista psicologico.
A mio parere, la polarizzazione creatasi tra i professionisti è dovuta, in parte, agli interessi delle case farmaceutiche che spingono molti medici all’uso spropositato di psicofarmaci, offrendo loro anche una via facile per la cura, e di conseguenza la possibilità di ampliare la propria clientela, potendo dedicare meno tempo al trattamento. D’altro canto, la scienza si dimostra contraddittoria nel poter confermare l’efficacia di questa o di quella terapia. Se da un lato vi è l’assenza di garanzie del trattamento psicologico (talking cure) accanto agli studi sull’efficacia degli psicofarmaci nel ridurre una serie di sintomi di disturbi gravi. Dall’altro, sempre più studi dimostrano preoccupanti effetti collaterali degli psicofarmaci: talvolta, un effetto alienante e sedativo in cui si spegne l’intera personalità del paziente, in altri casi si verifica addirittura l’aggravamento dei sintomi, come recentemente scoperto sugli antidepressivi. Questi studi restano, ad oggi, inascoltati, proprio per gli interessi delle grandi case farmaceutiche che li producono e vendono in massa, oggi più che mai.
Peraltro, anche un neurologo è abilitato alla prescrizione di psicofarmaci: ciò ha magari una minore, ma comunque significativa influenza sull’uso indiscriminato del farmaco e sullo scarso accesso ai servizi psicologici, laddove una prescrizione viene proposta come la soluzione definitiva.
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